Seduto, in questa
stanza. Solo, con troppi miei pensieri ai quali non riesco a dare veramente
forma e senso. La doccia non porta consiglio, ma solo un’altra scatola dove
nascondere le lacrime. Lacrime di coccodrillo? Forse. Lacrime di una persona
che si sente all’angolo, stretta tra mura che non le appartengono. Non penso di
farla finita, se non altro perché ho paura del dolore. Sono stanco di soffrire
per mano mia. Ho tutto quello che potrei e dovrei desiderare eppure sento di
non aver nulla, che tutta questa sabbia può svanire all’istante. La rabbia
verso il me stesso che vive al momento senza pensare al domani è seconda solo
alla delusione dell’avere questa parte in me. Se solo riuscissi a capire, se
solo riuscissi a spiegare al mondo e a me stesso cosa provo e di cosa ho
bisogno. Le lacrime non scendono più, la mia faccia non ha più la forza di
stringere gli occhi e sperare che il dolore venga spremuto fuori come il succo
di un limone. Sì, perché questo cazzo di cibo deve sempre essere in mezzo, come
se fosse l’unico vero motivo che mi tiene legato al reso del mondo. A volte mi
sento pazzo, altre incompreso, altre ancora mi sento solamente un bambino
viziato che cerca attenzioni. Ma di quante attenzioni deve aver bisogno un ragazzino
troppo cresciuto di 28 anni? Non dovrebbe essere già una persona matura alla
quale il mondo è circa chiaro? E invece mi ritrovo come al solito davanti ad
uno schermo, a scrivere righe che probabilmente, e per fortuna aggiungerei,
nessuno leggerà mai. Lo sfogo che tanto mi è stato detto di trovare si nasconde,
mi sfugge. Nel mezzo della ricerca di questa benedetta valvola, trovo solamente
ulteriori occasioni per ricordarmi perché mi sento così, perché ogni giornata
passa e finisce con lo sdraiarsi a letto cercando di dimenticare tutti quegli
incubi che infestano la tua vita da sveglio. La notte diventa un toccasana, l’unico
vero rifugio dalla tua testa, da quei pensieri che da cosciente non ti abbandonano
per un istante. Ed è per quello che ti ritrovi sempre a dover affogare nell’alcol,
o in qualsiasi altra dipendenza tutto quello che senti, perché la dipendenza ti
permette di uscire da questo circolo, seppur temporaneamente. Così facendo però,
caro Matteo, ti crei questo vortice completamente fuori il tuo controllo che,
se all’inizio assomiglierà anche solo ad un venticello, pian piano ti porterà
sempre più a fondo. E più a fondo vai, più la luce si affievolisce, più la
vista si appanna e più le speranze sbiadiscono. La notte è buia, il silenzio
assordante, sono molto stanco. Anche fisicamente. Sento che sto per crollare, e
col castello di carte che è il mio corpo, la mia luce si spegnerà molto
velocemente a seguire. E a quel punto resterà solo il ricordo della persona che
sono stato. E che ricordo lascerò di me stesso? Ogni persona avrà una visione
diversa, e per la maggior parte potrà anche sembrare positiva. Nessuno conosce
la realtà e io voglio tenere i miei scheletri ben chiusi nell’armadio,
portarmeli nella tomba anche dovendo. Perché ho fatto del male, cose che solo
al pensarci mi viene da vomitare. Questo è quello che sono? Sono veramente questa
persona vile che pensa solamente a sé stessa o c’è di più? C’è di più di questo
ragazzino che porta una maschera da talmente tanto tempo che ormai non conosce
più il vero Matteo? E questo famoso vero Matteo chi sarebbe? Forse è questo che
mi sto chiedendo, e forse so che la risposta mi fa troppo male. E fa troppo
male a tutte le persone accanto a me. Soffro, perché sono egoista e perché in
fondo vorrei trovare il modo di sparire senza far del male a nessuno. Il
lavoro, la tesi, l’università, le relazioni. Sono tutte queste solo scuse per
nascondere qualche problema molto più personale? Nulla sembra essere veramente
ciò che voglio, ma ogni volta c’è un qualcosa che mi spinge ad andare avanti,
convinto che la prossima sarà veramente la volta giusta. Ma non è mai così. E
probabilmente mai lo sarà.